Nel mese di giugno ho partecipato all’Agorà delle cooperative sociali e delle professioni che vi lavorano, evento promosso dalla rivista Animazione Sociale. Ne sono uscita ricca di spunti di riflessione e sollecitazioni. Sarebbe davvero difficile riassumere in un articolo tutto quanto è emerso; pertanto mi limiterò ad alcune “pillole”.
Una riflessione e una domanda aprono la plenaria della prima giornata, dal titolo Tra memoria e (incerto) futuro. La riflessione è: “C’è una duplice fatica: delle cooperative sociali e delle professioni che vi lavorano. Fatiche che riflettono la crisi più ampia del welfare sociale, educativo, sociosanitario e il suo progressivo indebolimento.” E questa la domanda: “Ancora ha senso lavorare nella cooperazione sociale nel 2024?”
Un video ha ripercorso la storia della cooperazione sociale in Italia dalla nascita con Basaglia nel 1972 sino ai nostri giorni. I diversi relatori hanno poi cercato di individuare e condividere una prospettiva comune per tracciare il futuro del nostro agire e della nostra r-esistenza.
D’Angella nel suo intervento introduttivo ha affermato
Dobbiamo tornare a essere attori politici di cambiamento e narrare alle giovani generazioni che si affacciano oggi in cooperativa cosa significa lavorare per creare giustizia sociale e condividere un lessico comune sociale intergenerazionale,
convinti che la cooperazione sia ancora animata da quell’energia generativa nata a Trieste nel 1972; un’energia propositiva che
ha il compito di ricreare un circolo virtuoso di opportunità con alleanze inventive, che generino una visione del possibile nell’impossibile.
Ota De Leonardis, sociologa, nel suo intervento è tornata su quest’eredità oggi da riattualizzare. Davvero si può pensare di buttare il bambino (la cooperazione sociale) con l’acqua sporca (le contraddizioni e le fatiche che la abitano)?
Luca Fazzi, uno dei massimi studiosi dei mondi del Terzo settore, ha ripercorso evoluzioni e involuzioni delle cooperative sociali: in che momento siamo di questa storia? Dove stiamo andando? Come ritracciare la rotta?
Francesca Coin si è invece soffermata sulla “fuga” dalle cooperative di educatori ed educatrici professionali e altre professioni della cura, attraverso la presentazione di dati, analisi, interpretazioni e ipotesi di lavoro su come arginare le “grandi dimissioni” dal sociale. A questo proposito, consiglio il suo libro “Le grandi dimissioni – il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita” (Einaudi, 2023).
Infine Vincenza Pellegrino, sociologa dell’Università di Parma, ha esplorato un punto cardine per la tenuta del “sistema cooperazione”: come curare il ricambio generazionale e come formare leadership capaci di accompagnare il cammino delle organizzazioni di terzo settore nella tempesta perfetta del presente? E anche qui, una lettura interessante: “Futuri possibili – Il domani per le scienze sociali di oggi” (Ombre corte, 2019).
A noi che lavoriamo nella cooperazione sociale spesso sembra di percorrere sentieri controvento e spesso ci si interroga su dove stiamo andando e come lo stiamo facendo. Siamo in grado, riattualizzando e narrando la cooperazione sociale per quello che oggi è, di praticare l’arte di bolinare, ossia di risalire il vento contrario? Pare impossibile che una barca senza motore vada nella direzione quasi opposta a quella da cui spira il vento. Eppure si può fare.
Nella plenaria della seconda giornata, tante voci hanno spronato i partecipanti a
andare a ripescare il bello nel mare della complessificazione dei problemi sociali e riconoscersi in ciò che produciamo (Franca Manoukian, Psicosociologa)
avere il coraggio di morire e rinascere, per lasciare alle spalle le nostalgie e i dogmi ai quali ci siamo ancorati (Don Luigi Ciotti)
tornare a sentire la forza del: e ora che facciamo? Come si domandava Basaglia nella sua azione di de-istituzionalizzazione, quando era convinto che solo attraverso le pratiche si arriva alle conoscenze (Thomas Emmenegger, psichiatra svizzero in Italia al seguito di Franco Basaglia)
credere che ci siano tesori sotto la superficie delle acque che navighiamo, che possiamo pescare, narrare e proporre (Gino Mazzoli – esperto di welfare e processi partecipativi).
L’Agorà è stata quindi l’occasione per prendere consapevolezza che, di fronte a questioni non più rinviabili non è più possibile ricercare soluzioni individuali a problemi collettivi. La cooperazione sociale si trova a un bivio: o si riposiziona nel presente e rintraccia strade di percorribilità oppure vedrà impoverirsi il senso della sua presenza e della sua funzione. L’importante è ricordare sempre, citando Ezio Bosso, che “la musica, come la vita, si può fare in un solo modo: insieme.”
Fiammetta Gasco, educatrice professionale